Ignoranza sulle startup, come combatterla?

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Grande è la confusione sotto al cielo, sul tema startup.
E non parlo di addetti ai lavori, o appassionati alla moda (un mix delle due tipologie si può trovare sull’ottimo gruppo Italian Startup Scene).
E’ nel linguaggio generalista che si genera la confusione. Ma il problema principale è che i generalisti sono imprenditori, giornalisti, associazioni di categoria, interi sistemi cittadini (a Ferrara c’è solo un pugno di persone che sa di cosa si parla quando si parla di startup).

Sgombriamo subito il campo da equivoci: startup non è una nuova impresa. Non sempre. (Facce attonite dal pubblico). E’ la definizione istituzionale italica che fa acqua.

Quando si fonda una impresa, tendenzialmente, ci si dovrebbe porre una domanda: voglio fare un lifestyle business, oppure una startup?

Perché le strade sono completamente diverse.

Da un lato, il lifestyle business è una tipologia di impresa che richiede capitali, o dalla famiglia o da una prestito bancario, per cominciare ed arrivare a sostenere se stessi e un numero x di dipendenti. E’ un business che ha limitate possibilità di crescita (magari anche ottime, ma non planetarie). In gergo hanno limitate possibilità di scalare.

Una startup nasce su una idea, è un progetto molto rischioso, che per crescere rapidamente (scalare) ha bisogno di investitori professionali. Insieme all’idea è necessaria un’ottima esecuzione, la capacità di modificare il proprio business sulla base della reazione del proprio pubblico (in gergo, fare pivot) e accelerare grazie a idee, tecnologie e iniezioni di capitali.

Buttate un occhio a questo metodo. E’ utile per isolare alcuni concetti del mondo startup: l’MVP (il prodotto minimo da cui raccogliere informazioni) o la filosofia del fail fast, fail cheap.

Fare startup non è una moda, anche se è alla moda. Esistono una molteplicità di attori coinvolti. Il founder, i co-founder, i venture capital, i business angles, gli incubatori, gli acceleratori, i digital advisor, fondi di investimento.

E’ un mondo complesso, specie per i ventenni che si affacciano sulla scena, con la voglia, la rabbia, la capacità.

Ma i nostri facilitatori istituzionali non hanno la benché minima idea di cosa si stia parlando. O meglio, qui, nel profondo cuore della provincia, c’è davvero il deserto.

Cosa ci serve? (Si anche a noi di Kuva che facciamo lifestyle business, ma abbiamo alcuni progetti di startup in cantiere). Servono avvocati esperti di questioni digitali, commercialisti capaci di affrontare non solo gli scogli dell’e-commerce, ma anche temi spinosi come l’estero-versione (se lancio un progetto internazionale potrei voler spostare la sede della società a Londra e pagare le tasse in Italia solo per il business che faccio in Italia, pur lasciando la sede operativa in Italia) la diluizione del capitale sociale, vorrei un consulente capace di scrivere vantaggiosi contratti para-sociali. Ci serve un sistema che tenga il passo con il mondo.

Non è fantascienza: tutto il digitale si basa su questo modello di business. Un modello sconosciuto ai più.

Parlavo nel post precedente di ecosistema e rainforest: il primo passo è questo. Cominciare a diradare la nebbia intorno al tema e fare informazione. Pretendere dai soggetti istituzionali (enti, associazioni di categoria, agenzie per lo sviluppo) che sappiano cosa si muove nel mondo intorno a loro. I vecchi modelli sono in crisi: servono nuove strade.

Il primo passo per combattere l’ignoranza è studiare. Ma il secondo è chiedere, gentilmente, uno scatto d’orgoglio anche a chi ci sta attorno. Il 2013 dimostra che siamo capaci di crescere solo se cresciamo insieme.

Una nota, importate: una startup è fatta per uscire dal mercato (in gergo, di nuovo, exit) o attraverso una vendita o la quotazione in borsa. Questo è normale, pensateci: se io sono un investitore professionale, voglio mettere i miei soldi in una attività rischiosa se e solo se ho prospettive di grandi guadagni. Sennò investo in bot (ok, di questi tempi sono rischiosi pure quelli, ma tant’è).

State tranquilli se il tema appare ostico. Andremo avanti, e in profondità.