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Il Comune e la Provincia di Ferrara lanciano la nuova campagna di promozione territoriale Ferrara sense the city.

Questa nuova campagna suggerisce al turista, al visitatore, ma anche ad un cittadino distratto un viaggio nuovo, intenso, emozionante, un viaggio da sperimentare.

 

ferrara

ferrara

Ho deciso di mettere in discussione tre idee per il futuro di Ferrara. O per la Ferrara del futuro. E ho deciso di farlo con una convinzione forte: le idee, da sole, non possono cambiare le cose.

Se ne parlava qualche giorno fa in questa discussione relativa a questo articolo: team ed esecuzione contano più delle idee.

Anzi, dovessi dare dei numeri, direi che l’idea conta per il 10%, il team (cioè persone che lavorano con impegno, passione, spirito di sacrificio) per il 40, mentre il restante 50% a mio avviso spetta all’esecuzione dell’idea (come funziona messa in pratica, quanto si è capaci di cambiarla rapidamente in base alle risposte del mercato).

Quindi queste tre idee le mettiamo in pubblico, in vista di costruire il team e dar loro una esecuzione brillante.

IDEA #1

Creazione di un acceleratore/incubatore per startup che si occupano di food&beverage.
Siamo un comune e una provincia a forte vocazione agricola, abbiamo eccellenze sia nella Università (penso al contributo in termini di ricerca che potrebbero dare Agraria ed Ingegneria) sia nel settore privato (nel tempo ho scoperto aziende incredibili a supporto del settore primario).
Lavorando sui rapporti di filiera, sulle mode del momento (il food è l’indiscusso protagonista dei social network) e sulla passione delle persone è possibile fare grandi cose, attirare giovani e aspiranti imprenditori da tutto il mondo, essere il motore di qualcosa che cresce.

IDEA #2

Creazione di una agenzia per lo sviluppo digitale.
Intendiamoci: non penso necessariamente ad un soggetto nuovo, ingessato o paludato. Potrebbe essere pure un soggetto informale. Ma abbiamo bisogno di qualcuno che segua le nuove attività con modelli innovativi. C’è bisogno di mentoring, chiamando imprenditori e industriali che raccontino ai giovani cosa significa fare impresa, c’è bisogno di commercialisti e avvocati preparati alle nuove sfide e dai costi sostenibili, serve una visione unitaria per lo sviluppo delle nuove tecnologie nel nostro territorio. Le eroiche attività individuali non possono più essere isolate.

IDEA #3

Potenziare l’ambito dell’industria della cultura e della creatività: i primi vagiti ci sono, ma dobbiamo essere in grado di far crescere il sistema creando spazi, incrociando i dati, mettendo in rete conoscenze, relazioni, competenze e far ripartire la cinghia di trasmissione tra grandi gruppi e piccoli artigiani (leggete questo illuminante articolo a cui ho rubato la terminologia e, magari, date un occhio a Meme.
Creare sistema tra queste idee può aiutare Ferrara ad essere smart. Negli ultimi sei anni abbiamo (come paese Italia) gettato via tonnellate di fondi europei: tra quelli non raccolti, che ci spettavano, e quelli sprecati, ci poteva (doveva) essere spazio per fare qualcosa. Ora dobbiamo far sì che non accada lo stesso nei prossimi sei. Dobbiamo farci trovare pronti con team affiatati, esecuzioni rapide e idee eccellenti.

 

startup

startup

Grande è la confusione sotto al cielo, sul tema startup.
E non parlo di addetti ai lavori, o appassionati alla moda (un mix delle due tipologie si può trovare sull’ottimo gruppo Italian Startup Scene).
E’ nel linguaggio generalista che si genera la confusione. Ma il problema principale è che i generalisti sono imprenditori, giornalisti, associazioni di categoria, interi sistemi cittadini (a Ferrara c’è solo un pugno di persone che sa di cosa si parla quando si parla di startup).

Sgombriamo subito il campo da equivoci: startup non è una nuova impresa. Non sempre. (Facce attonite dal pubblico). E’ la definizione istituzionale italica che fa acqua.

Quando si fonda una impresa, tendenzialmente, ci si dovrebbe porre una domanda: voglio fare un lifestyle business, oppure una startup?

Perché le strade sono completamente diverse.

Da un lato, il lifestyle business è una tipologia di impresa che richiede capitali, o dalla famiglia o da una prestito bancario, per cominciare ed arrivare a sostenere se stessi e un numero x di dipendenti. E’ un business che ha limitate possibilità di crescita (magari anche ottime, ma non planetarie). In gergo hanno limitate possibilità di scalare.

Una startup nasce su una idea, è un progetto molto rischioso, che per crescere rapidamente (scalare) ha bisogno di investitori professionali. Insieme all’idea è necessaria un’ottima esecuzione, la capacità di modificare il proprio business sulla base della reazione del proprio pubblico (in gergo, fare pivot) e accelerare grazie a idee, tecnologie e iniezioni di capitali.

Buttate un occhio a questo metodo. E’ utile per isolare alcuni concetti del mondo startup: l’MVP (il prodotto minimo da cui raccogliere informazioni) o la filosofia del fail fast, fail cheap.

Fare startup non è una moda, anche se è alla moda. Esistono una molteplicità di attori coinvolti. Il founder, i co-founder, i venture capital, i business angles, gli incubatori, gli acceleratori, i digital advisor, fondi di investimento.

E’ un mondo complesso, specie per i ventenni che si affacciano sulla scena, con la voglia, la rabbia, la capacità.

Ma i nostri facilitatori istituzionali non hanno la benché minima idea di cosa si stia parlando. O meglio, qui, nel profondo cuore della provincia, c’è davvero il deserto.

Cosa ci serve? (Si anche a noi di Kuva che facciamo lifestyle business, ma abbiamo alcuni progetti di startup in cantiere). Servono avvocati esperti di questioni digitali, commercialisti capaci di affrontare non solo gli scogli dell’e-commerce, ma anche temi spinosi come l’estero-versione (se lancio un progetto internazionale potrei voler spostare la sede della società a Londra e pagare le tasse in Italia solo per il business che faccio in Italia, pur lasciando la sede operativa in Italia) la diluizione del capitale sociale, vorrei un consulente capace di scrivere vantaggiosi contratti para-sociali. Ci serve un sistema che tenga il passo con il mondo.

Non è fantascienza: tutto il digitale si basa su questo modello di business. Un modello sconosciuto ai più.

Parlavo nel post precedente di ecosistema e rainforest: il primo passo è questo. Cominciare a diradare la nebbia intorno al tema e fare informazione. Pretendere dai soggetti istituzionali (enti, associazioni di categoria, agenzie per lo sviluppo) che sappiano cosa si muove nel mondo intorno a loro. I vecchi modelli sono in crisi: servono nuove strade.

Il primo passo per combattere l’ignoranza è studiare. Ma il secondo è chiedere, gentilmente, uno scatto d’orgoglio anche a chi ci sta attorno. Il 2013 dimostra che siamo capaci di crescere solo se cresciamo insieme.

Una nota, importate: una startup è fatta per uscire dal mercato (in gergo, di nuovo, exit) o attraverso una vendita o la quotazione in borsa. Questo è normale, pensateci: se io sono un investitore professionale, voglio mettere i miei soldi in una attività rischiosa se e solo se ho prospettive di grandi guadagni. Sennò investo in bot (ok, di questi tempi sono rischiosi pure quelli, ma tant’è).

State tranquilli se il tema appare ostico. Andremo avanti, e in profondità.

 

ferrara

ferrara

Pasticcio è una parola strana: per definirla buttiamoci sul vocabolario Treccani:
Tra i sensi figurati troviamo questo:

Faccenda o situazione intricata, confusa, poco chiara: ci troviamo in un bel p.; come si fa a risolvere questo p.?; fare, combinare pasticci, complicare le cose, creare situazioni difficili; trovarsi, mettersi, cacciarsi nei p., nei guai.

Ma il pasticcio alla ferrarese è cosa sopraffina. Combina molti gusti diversi, difficilmente conciliabili, in un piatto unico, tosto, prezioso.

Da qualche mese stiamo guardando gli ingredienti a disposizione.
Si chiami rigenerazione culturale (di cui abbiamo parlato qui, o smartcity, o pasticcio alla ferrarese, l’obiettivo secondo me è chiaro, almeno in linea di principio: trovare una via peculiare, ferrarese, nostra verso lo sviluppo economico.

Perché di Ferrara si può morire, ma forse anche rinascere. Ricordo piazzetta Sant’Anna e le parole del post-terremoto. “Qui non ce la facciamo” era l’espressione prevalente.

Eppure abbiamo lasciato il sisma alle spalle, e tante cose sono successe.

Da Spazio Grisù per una via nostrana all’incubazione delle imprese, a Cultura della Città e la Riapertura del Verdi il segnale mi sembra chiaro: c’è la voglia di fare.

Da parte nostra siamo in squadra con UXA, Canapè, Studio Sigfrida, FerraraFiere per Meme.
Abbiamo trovato ottimi ingredienti, incontri interessanti, persone di grande qualità. Stiamo cercando di mettere insieme pasta frolla e i macinati, la besciamella e i sapori.

Ma ci mancano alcune cose: la nostra esperienza ci parla di una città piuttosto prudente, che ha bisogno di uno scatto d’orgoglio.
Inutile nasconderci: la banca territoriale ha fatto crac, in un modo o nell’altro. Servono capitali. Servono idee. Serve esecuzione. E’ necessario che si cominci a pensare che la cultura deve essere motore economico, volano per la crescita. Se così non è, ad occuparsi di cultura potranno essere solo i più abbienti, per censo, tra l’altro: la forma meno meritocratica di ricchezza.

In questi mesi di incontri e idee ho notato che la nostra città è ancora addormentata per certi versi (mentre è molto sveglia per altri). Si parla poco di nuove modalità di impresa, di finanziatori non bancari (venture capital e business angel), a volte ci si parla poco e basta. Bisogna parlarsi di più. Capire dove stanno le eccellenze, mettere da parte i personalismi e correre, forte.
Certo, Ferrara non sarà mai la Silicon Valley, troppa nebbia. Possiamo però attrezzarci per il nuovo modello di governance del territorio che si sta affacciando sull’Europa: governone centrale da Bruxelles e centri decisionali nei Comuni e Province.

Parole chiave, che mi riservo di approfondire: ecosistema e rainforest. Senza scimmiottare modelli altrui, dobbiamo trovare il nostro pasticcio. 500 anni fa ne eravamo capaci.
Come Kuva qualche idea da mettere in campo ce l’abbiamo, e pure un po’ di voglia (che significa tempo). Probabilmente non il tartufo, che quello lo dobbiamo cercare insieme.

Il tartufo nel pasticcio, per come la vedo io, è la capacità di attirare persone e capitali, trovare la nostra dimensione verso il 2020, dimostrarci capaci di essere al centro di nuove strade. Non dobbiamo impedire ai nostri migliori cervelli di andare via: dobbiamo fargli venire la voglia di tornare (la mia personale ossessione nel voler rappresentare il mondo del computing come nuova frontiera culturale mi fa pensare alle startup digitali come Kunerango, nata nella nostra Università e oggi incubata ad H-Farm.

Oggi vogliamo far partire la sfida: trovare gli ingredienti che mancano, metterli insieme, cucinarli a dovere.
E fermare l’emorragia, che qui, tra nebbia e stagnazione, si resta pallidi. E a me, il pasticcio, piace dorato.

Ps. Si intenda che la rapida carrellata di soggetti e amici è stata fatta nella rapidità di un lunedì: non si offenda nessuno. Sono certo che non accadrà, siamo persone cortesi qui a Ferrara.

 

50 idee per il futuro della città
50 idee per il futuro della città

50 idee per il futuro della città

Urbanomnibus si definisce come uno showcase di buone idee per il futuro della città.
Ha pubblicato infatti 50 idee per le nuove città, e abbiamo pensato di tradurle.
Sono molto americane, a dire il vero, ma non troppo. E traducendole abbiamo visto quanto la nostra città, Ferrara, già faccia in questa prospettiva.

Poi quelle che ci interessano di più, probabilmente, sono quelle legate al digitale, dove, in Italia, siamo tradizionalmente più arretrati: ma è una battaglia che vogliamo vincere. Smartcity è anche questo, cominciare a parlarne.

1) Combatti il cambiamento climatico adattando gli edifici esistenti
2) Supporta le arti attraverso le costruzioni in essere
3) Cattura l’energia delle persone che vivono la propria vita
4) Fai una piccola differenza nella comunità che conosci
5) Mappa tutto
6) Usa strutture temporanee per offrire attrazioni alle comunità che non ne hanno
7) Crea per la diversità generazionale
8) Cerca la sovrapproduzione dappertutto e usala bene
9) Ascolta il tuo ecosistema
10) Supporta una economia diversa
11) Aiuta le scuole ad attivare i bambini
12) Usa gli spazi pubblici per condividere idee e far partire le conversazioni
13) Lascia che la città racconti le proprie storie
14) Usa il teatro per investigare i temi del cambiamento del vicinato e lo sviluppo
15) Guarda alla città attraverso la lente del cibo
16) Fai leggi e regolamenti semplici da comprendere
17) Prenditi cura della natura dovunque si trovi
18) Incoraggia il settore privato a creare attrazioni pubbliche
19) Usa il sistema naturale per supportare le infrastrutture
20) Riconsidera dove, come e con chi lavoriamo
21) Recupera l’energia anche dalle onde, non solo dal sole e dal vento
22) Usa la città come un’aula di scuola
23) Rendi il funzionamento della città trasparente, in modo da far capire come funziona
24) Fai suddivisioni degli spazi sicuri e legali
25) Gioca con le implicazioni del digitale inserite in ogni aspetto della vita quotidiana
26) Coinvolgi i nuovi residenti
27) Celebra ed attiva l’ecologia della città
28) Guarda alla città come ad un software
29) Coordina piccoli progetti dalle logiche simili per attivare sforzi altrimenti isolati
30) Crea strumenti di business per condividere spazi e risorse
31) Pensa a mezzi di trasporto pubblico oltre alla strada e alle rotaie
32) Guarda attentamente alla diversità degli edifici che abbiamo in città
33) Impara dal suolo geologico che abbiamo sotto ai piedi
34) Progetta spazi ricreativi guardando come le persone giocano
35) Connetti il talento del web 2.0 con chi governa
36) Ferma il sovraccarico dei rifiuti con un design creativo e preventivo

Gli idranti di new york

Gli idranti di New York

37) Fai degli idranti le ancore di piccoli parchi temporanei (Ok, questa è proprio newyorchese)
38) Chiedi ai cittadini come vogliono migliorare la propria città
39) Lascia accadere il caso (Questa, personalmente, la adoro)
40) Pensa al di là dei ripari temporanei come aiutare i senzatetto
41) Lascia che i cittadini siano coinvolti nella manutenzione delle infrastrutture
42) Pensa a vagare e osservare le strade della città come una forma d’arte
43) Crea sistemi facili per il car-sharing
44) Trasforma terre tossiche in lotti agricoli produttivi
45) Condividi, discuti e sollecita proposte sull’arte pubblica, l’architettura e il design urbano
46) Celebra la bellezza urbana di ciò che vediamo ogni giorno
47) Investi nella cultura, dove la cultura viene fatta
48) Impara dalle città non costruite
49) Metti in discussione le tue ipotesi su cosa significhi sostenibilità
50) Invita ciascuno a condividere buone idee per il futuro delle città

smart

Ferrara smartcity

Ferrara è una delle principali città italiane della cultura. Per questo motivo si può giocare qui la sfida per lo sviluppo di una nuova cultura della città. Sfida perché la crisi strutturale che stiamo vivendo richiede un profondo ribaltamento di orizzonti e di opinioni, un modo nuovo di pensare e di immaginare lo sviluppo ed il benessere. La cultura e la creatività rappresentano solide chiavi per rispondere alla crisi e per promuovere nuova urbanità, nuova occupazione, nuove economie. Lo sostengono in molti, ci credono in pochi e ancor meno agiscono concretamente.

La breve intro, ripresa dai testi che sono alla base della proposta programmatica di Città della Cultura / Cultura della Città, è la miglior sintesi che ho letto da molto tempo a questa parte per spiegare di cosa si stia parlando a chi non mastica, ogni giorno, i temi della rigenerazione urbana, della social innovation, del co-working e, in gerenale, dell’idea stessa di smart city.

L’espressione città intelligente indica, in senso lato, un ambiente urbano in grado di agire attivamente per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini. La città intelligente riesce a conciliare e soddisfare le esigenze dei cittadini, delle imprese e delle istituzioni, grazie anche all’impiego diffuso e innovativo delle nuove tecnologie, in particolare nei campi della comunicazione, della mobilità, dell’ambiente e dell’efficienza energetica. Il termine purtroppo nel tempo ha visto enfatizzarsi tanto le sue caratteristiche positive – l’idea si sta radicando, spingendo un sempre maggior numero di città anche italiane a domandarsi se sono smart e come possono diventarlo – quanto una certa fumosità di fondo, come sempre endemicamente accade per i concetti ombrello che vogliono cercare di abbracciare ogni aspetto dello scibile umano.

A Ferrara, però, stiamo cercando di rarefare questo fumo.
Lo stiamo facendo, come staff di progetto, studiando strumenti di governance che possano aiutare il processo di trasformazione di una città, che per dimensioni, sostrato sociale e storia culturale può essere un meraviglioso modello di smart city.
Lo stiamo facendo progettando e realizzando eventi a bassa intensità che permettano di riscoprire luoghi addormentati e saperi dimenticati, nell’idea che il rapporto tra chi vive la città e la città possa essere il volano funzionale alla crescita di un tessuto socioeconomico vivo e produttivo.

Mobilità alternativa, gestione efficace e a impatto zero in materia di energia (rinnovabile, efficienza energetica), ma anche essere smart in materia di sanità, trasporti, educazione, sono solo alcuni dei parametri attraverso i quali valutare la gestione consapevole delle politiche messe in atto da parte di una Amministrazione sul territorio che gestisce. Non dobbiamo cadere nel tranello al ribasso di definire smart la semplice gestione al risparmio dell’energia pubblica (lampioni a LED non sono sinonimo di smartness, ma solo un primissimo, timido passo su quella strada) o un sito web ben ottimizzato.

Una Smart City per emergere deve  avere innovazioni visibili e servizi  fruibili. Alcune città italiane hanno  avviato un progetto di Smart City e  molte altre hanno realizzato singoli  progetti innovativi, partendo quindi già da una situazione favorevole. una città, per essere catalogabile come smart city – non che sia fondamentale, ma certo offre un paradigma interessante per valutare un prima e un dopo – deve sapersi dotare di una vision strategica del proprio futuro e di una mission consapevole di punti di forza e di punti di debolezza in grado di gestire la crisi e puntare forte sulle peculiarità che le possono far fare il salto di qualità. Diventa quindi importante identificare le best practices cittadine, al fine di ricavare modelli percorribili, più adatti ad ogni tipologia di città e di situazione locale, con metriche condivise per sapere in che modo si sta migliorando, dove lo si sta facendo e come apportare i correttivi necessari laddove si renda necessario.

E per Ferrara? Cultura, riscoperta e gestione consapevole di immobili addormentati, attenzione alle linee di sviluppo di eventi culturali di grande forza attrattiva, valorizzazione delle caratteristiche di salotto rinascimentale per attrarre turismo consapevole e investitori interessati a portare capitali e know-how in una città che ha la dimensione giusta e la fame giusta per accoglierli (Ferrara, una piccola Berlino, un modello-Ferrara che già in parte ci viene riconosciuto), ma anche sviluppo di servizi che grazie agli open data permettano alla PA di porsi al livello delle città leader del panorama italiano.

 


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